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FORREST in TOWN: Pietro Boffa e Daniele Fiori

Scandagliare il fenomeno della transizione ecologica nella sua complessità é il nostro mantra.

Ciò significa, anche da subito, cercare di mettere in evidenza quei progetti nati per realizzare in città le prime oasi di bellezza e lungimiranza, cui approdare per mettere in salvo il nostro sogno di una nuova attuabile quotidianità.

Per questo oggi parliamo di Forrest in Town direttamente con gli ideatori e realizzatori, gli architetti Daniele Fiori e Piero Boffa.

Cominciamo da Piero Boffa,

Presidente del Gruppo Building




Agli inizi degli anni Novanta lo studioso inglese Andrea Paxton inventò la definizione food miles, successivamente riformulata da Coldiretti con KM 0 per combattere le importazioni esotiche, il cui trasporto fino alle nostre tavole è uno dei fattori responsabili delle emissioni di CO2 nell'atmosfera. Potrebbe quindi Forrest Town, la vostra innovativa formula di vivere e abitare, intendersi come risposta a questo problema? Orecchiando magari Zygmunt Bauman: ''pensa globale, mangia locale''?

Con i nostri progetti su Milano, Torino e all’estero, noi di Building abbiamo posto l’architettura al centro di una delle più grandi sfide della modernità, ovvero l’ambiente e il contrasto alla crisi climatica. In questo senso, Forrest in Town è un ottimo esempio del nostro approccio votato, parafrasando sempre Bauman, a una “glocalizzazione” che, partendo dalla sfera privata, punta ad abbracciare l’intera città e oltre. Una nuova frontiera dell’abitare, all’insegna del risparmio delle risorse (in primis terra e acqua), della circolarità e della riqualificazione green, che andrà a influenzare anche i consumi e l’alimentazione.

Forrest in Town sarà il primo borgo residenziale green di Milano, con un esteso parco interno di 4.500 mq dove metteranno radici alberi (anche da frutto), piante e arbusti utili all’uomo: dai noci ai ciliegi, passando per melograni, sambuchi, frutti di bosco e molto altro. Soprattutto, al di sotto del parco sorgerà un ampio orto che, sfruttando le tecniche di coltivazione aeroponica, permetterà ai residenti di coltivare ortaggi e verdure freschi “a cm 0”. Un progetto, in sostanza, che punta sulla consapevolezza ecologica e sulla sostenibilità: il sistema aeroponico, tra i più moderni metodi di coltivazione fuori suolo (le piante crescono fuori dal terreno, l’acqua e i nutrienti vengono nebulizzati direttamente sulle radici), garantisce un ridotto impatto ambientale. Infatti, con questa tecnica è possibile utilizzare circa il 90% in meno d’acqua rispetto a quella tradizionale, a fronte di una resa che può essere maggiore del 30% e perfino più rapida. Inoltre, grazie all’orto aeroponico di Forrest in Town, non saranno necessari veicoli agricoli né altri mezzi o risorse per il trasporto e la distribuzione.

Questa iniziativa progettuale, che propone aree di coltivazione all'interno di nuclei abitativi urbani, potrebbe considerarsi un esempio di residenze autosufficienti, nell'eventualità di impedimenti alla libera circolazione di merci e persone, come abbiamo vissuto durante i recenti lockdown, stimolando una formula di convivenza aggregativa e solidale? Progetti innovativi come Forrest in Town guardano, più che a scenari caratterizzati da impedimenti e limitazioni (come quello legato all’emergenza pandemica, che speriamo non debba più ripresentarsi), alla Città del futuro, immaginata secondo un modello multicentrico: una sorta di arcipelago urbano, con tanti quartieri-borghi connessi tra loro, ma autosufficienti nei servizi essenziali come scuola, salute, sport, svago. È in quest’ottica che, insieme Daniele Fiori – DFA Partners, abbiamo voluto dare vita a un nuovo concept residenziale: un villaggio nella città, un borgo green in cui la comunità di residenti possa coltivare il proprio angolo di mondo, la propria oasi di benessere, in una sintesi ideale di confort, natura e “ritrovata” socialità.


Passando ora all’architetto Daniele Fiori







Come descriverebbe in maniera più dettagliata il significato di quello che la vostra iniziativa definisce ''nuove modalità di vivere e abitare su diversa scala''?

Partiamo dal condominio orizzontale, non più incontri sporadici in ascensore bensì la possibilità, volendo, di agevolare la socializzazione. E poi amenities in comune, spazi per il fitness, per lo smart working e, soprattutto per la coltura in questo caso aeroponica. Questo all’interno delle realtà abitative che diventano così autosufficienti. Se invece allarghiamo la visuale alla città, l’avere poli produttivi all’interno del contesto urbano cambia completamente la sua configurazione: oggi abbiamo solo Forrest in Town a produrre cibo ma se questa innovazione fosse condivisa? Si ridisegnerebbero funzioni e i rapporti tra la città e le aree oggi produttive.


Potrebbe il modello di abitare lo spazio, come voi proponete, intendersi non solo come rifugio all'intimità della persona, ma anche come laboratorio per elaborare nuovi modi di vivere la natura? Introiettandola nella quotidianità domestica di ciascuno di noi?

Una realtà domestica che, prima di essere utile a noi che l’abitiamo, avendo a disposizione verdure vive, cresciute senza utilizzo di prodotti chimici, ci porta indirettamente ad aiutare il pianeta. Crea spazi alternativi alla coltivazione, non va ad occupare terreno che, è provato, presto non sarà sufficiente e allora ecco un aiuto per tutti noi, ma, soprattutto, per i nostri figli.


Potrebbe la vostra proposta leggersi come alternativa al bisogno, che la Pandemia ha accentuato, di abbandonare le città verso spazi ''rurali'' che offrano una migliore qualità di vita? Respirare aria pulita, sedersi a tavola e mangiare i prodotti dell'orto appena colti, o andare a riposare senza accendere un condizionatore? Sono degli esempi.

È una conseguenza inevitabile con queste scelte, spostarsi in posizioni urbane più esterne, avere più spazi a disposizione, dentro e fuori, prestare attenzione alla qualità dei materiali, delle energie alternative, di considerare il verde alla stessa stregua del progetto casa, insomma, una sorta di ritorno a considerare tempi, modalità, spazi che siano utili “alla vista” e alla qualità del vivere.


Mentre osserviamo che in tutto il mondo si sta accentuando il fenomeno di migrazione, che il Financial Time definisce '' the biggest migration in our cultural history since the Great Depression'', che tra l'altro fa schizzare i prezzi delle abitazioni fuori porta, pensate che le vostre soluzioni, di portare la Natura in casa, potrebbero invertire la tendenza?

Molto probabilmente potrebbe influenzare questa tendenza in atto, ma certamente avrebbe un grande impatto nella riqualificazione delle periferie.

Lo sforzo di reinvestire in spazi dismessi, in aree nate dall’industrializzazione e che inevitabilmente sono rimaste vittime del cambiamento in metropoli di servizi, si presentano come perfette candidate al riutilizzo, anche mantenendo in parte l’aspetto per le quali sono nate, lavorando sulla qualità dell’aspetto preesistente con immissioni attente e innovative e riempiendo tutti quegli spazi di risulta, di depositi, di stoccaggio con giardini che si sono reimpossessati del terreno perduto e con utilizzo di quelle parti sotterranee per creare nuova vita crescendo prodotti di qualità, una città nuova, attenta alla sua storia ma in grado di proseguire nel cambiamento. Un contributo per migliorare il mondo che ci ospita.





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